Obiettivi, potenzialità e benefici della psicologia dell’età evolutiva per i giovanissimi: ne parliamo con la Dott.ssa Rita Insalata, Psicoterapeuta.
Non si è più bambini, ma non si è neanche degli adulti. O forse si è entrambi nello stesso momento. Parliamo dell’adolescenza, uno dei momenti sicuramente più delicati e complessi della vita. Non è un caso che parecchi disturbi psicologici si slatentizzino proprio in questo periodo. E non è un caso che, in un momento di tanta fragilità, per i più giovani sia ancora più difficile chiedere aiuto senza sentirsi sbagliati. Quanto è importante ricevere un buon supporto psicologico?
Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Rita Insalata, Psicologa e Psicoterapeuta dell’Età Evolutiva e degli Adulti presso San Benedetto del Tronto (AP).
Una parte importante della psicologia dell’età evolutiva è rappresentata da quella che ha come pazienti gli adolescenti: in cosa si differenzia rispetto alla psicologia dei bambini più piccoli?
«La psicologia dell’età evolutiva è quell’ambito della psicologia dello sviluppo che si occupa dei diversi aspetti della personalità e delle varie forme di comportamento nel periodo che va dalla nascita alla fine dell’adolescenza (19 anni circa). Se si parla strettamente di adolescenza, si tratta di un periodo dell'età evolutiva che si situa fra due altri grandi periodi: quello infantile e quello adulto. Si è soliti distinguere anche tra prima adolescenza (13-15 anni), e seconda adolescenza (16-19 anni).
Tale momento viene conosciuto come età del cambiamento. "Adolescere", una parola latina che traduce il concetto di "crescere", rappresenta il passaggio cruciale dall'infanzia all'età adulta, caratterizzato da una profonda trasformazione. Durante questo periodo, l'adolescente si trova in una fase di transizione in cui non è più un bambino ma non è ancora un adulto, vivendo un dualismo di esperienze: da un lato, si allontana e rifiuta la fase infantile, mentre dall'altro, cerca di definire un proprio status stabile. Questo processo psichico, che ogni ragazzo affronta, si caratterizza quindi per una duplice dinamica di crescita e ricerca di identità.
Ovviamente, a livello clinico e terapeutico il lavoro con un adolescente è molto diverso rispetto a quello che viene svolto con bambini più piccoli: le modalità di approccio, gli strumenti di intervento, il setting in cui si svolgono i colloqui, le finalità sono totalmente differenti. Si lavora con soggetti con caratteristiche cognitive, emotive e comportamentali diverse.»
Gli adolescenti spesso possono essere molto chiusi: come rendersi conto che possono aver bisogno di aiuto? Quali sono i segnali da non trascurare?
«La letteratura scientifica ha ampiamente documentato l'importanza di riconoscere e trattare precocemente i disturbi psichici durante l'adolescenza e la giovinezza. Questo perché il riconoscimento precoce non solo migliora la prognosi dei disturbi stessi, ma anche l'efficacia dei trattamenti. Nella pratica clinica, spesso ci accorgiamo che i giovani giungono alla nostra osservazione per sintomi "indiretti" di disagio o depressione. Questo disagio diventa evidente quando emergono comportamenti che si discostano da quelli considerati normali dagli adulti, come ad esempio difficoltà scolastiche, disturbi alimentari, somatizzazioni, isolamento sociale o comportamenti esplosivi come l'autolesionismo e i tentativi di suicidio.»
Quali sono i disturbi più frequenti durante l’adolescenza?
«Molto frequenti sono i disturbi della sfera emotiva, le somatizzazioni e i comportamenti disfunzionali. Frequentissime e molto problematiche sono le dipendenze da sostanze (legali come alcol e nicotina, e illegali come cannabis, cocaina) e dipendenze comportamentali (dipendenze tecnologiche, dipendenza da gioco, shopping compulsivo). Inoltre molto frequenti sono anche i disturbi inerenti alla sfera del comportamento alimentare, soprattutto nei giovanissimi.»
Esistono differenze tra un ragazzo e una ragazza?
«Per quanto concerne la mia esperienza clinica e professionale, in linea generale non ho trovato grandissime diversità: in questo delicato momento, entrambi i generi necessitano di ascolto, di confronto, di un ambiente in cui poter essere stessi senza aver paura del giudizio. La figura dello psicologo è diversa da quella dell’insegnante a cui sono abituati: all’inizio faticano a fidarsi dell’esistenza del segreto professionale, ma poi ne comprendono la tutela e il beneficio.
Una differenza che noto è forse legata al primo approccio con il professionista: le ragazze richiedono aiuto più facilmente rispetto ai ragazzi, accedono maggiormente agli sportelli di ascolto psicologico scolastico per chiedere informazioni, parlano di più con insegnanti e amiche.
Anche a livello di esordio e prevalenza di tipologia di problematica psicologica ci sono delle differenze. Ad esempio, per quanto riguarda l’area della sfera dei disturbi del comportamento alimentare, l’incidenza complessiva dell’anoressia è molto più alta nelle fasce di età 15-19 anni, e le femmine sono interessate 10 volte più frequentemente rispetto ai maschi. L’anoressia rappresenta la malattia psichiatrica con il più alto tasso di mortalità, in particolare tra adolescenti di sesso femminile, dove è al secondo posto tra le cause di decesso dopo gli incidenti stradali.»
Quanto incide il cambiamento del corpo nei problemi psicologici che può trovarsi ad affrontare un adolescente?
«Possiamo dire senza ombra di dubbio che incide abbastanza. Consideriamo che il primo e più evidente cambiamento che riscontriamo nell’adolescente è proprio quello di un corpo che cambia e in cui può fare fatica a stare. Durante l'adolescenza, si verificano molti cambiamenti sia fisici che mentali. A livello fisico, ci sono l'aumento di altezza e peso, lo sviluppo delle caratteristiche sessuali e cambiamenti nei muscoli e nel grasso. Gli ormoni, come gli androgeni nei maschi e gli estrogeni nelle femmine, guidano questi cambiamenti. Allo stesso tempo, il cervello subisce importanti trasformazioni, specialmente nelle aree coinvolte nel controllo degli impulsi e nella regolazione emotiva. Gli adolescenti sviluppano una maggiore capacità di riflessione e giudizio, e il loro pensiero diventa più logico e maturo, con una maggiore attenzione alle questioni sociali e morali.»
Le dinamiche familiari possono incidere sul benessere emotivo e psicologico degli adolescenti. In che modo i genitori, compatibilmente con le possibilità reali, possono aiutarli?
«La famiglia ha un ruolo molto importante. I genitori, conoscendo bene come sono fatti i loro figli, possono essere i primi a poter vedere e riconoscere i primi campanelli di allarme, quindi a chiedere aiuto e ad avvicinare il ragazzo ad un professionista della salute.
Nel lavoro psicoterapeutico è cruciale la collaborazione con i genitori, sia per avere una panoramica più ricca ed esaustiva della situazione problematica sia per favorire il trattamento di cura e lo stato di guarigione. Talvolta la famiglia, inconsapevolmente, potrebbe mettere in atto una serie di azioni che portano al mantenimento dei sintomi e dei comportamenti disfunzionali, ostacolando il processo di autonomia. È indispensabile condividere gli obbiettivi con tutto il sistema familiare che ruota attorno al minore.»
C’è bisogno di più psicologi dell’età evolutiva nelle scuole?
«Sì, in questi ultimi decenni si è assistito a un incremento sempre maggiore dell’interesse per la dimensione affettiva del bambino in età scolare. Nei nuovi programmi scolastici si dà molta importanza alle emozioni nel processo educativo. In Italia, diversamente da altri Paesi europei, si è pensato allo psicologo principalmente per curare, trascurando la prevenzione. Ma la pandemia ha cambiato questo punto di vista: la didattica online e la mancanza di socialità hanno pesato sulla salute mentale dei giovani, evidenziando il bisogno di supporto psicologico. Gli psicologi che lavorano nelle scuole offrono supporto ai singoli ragazzi e intervengono in classe con insegnanti e famiglie. La scuola è il secondo luogo di socializzazione dopo la famiglia, dove i ragazzi trascorrono molto tempo.
Lo sviluppo delle varie aree della personalità sono state già tutte raggiunte durante l’adolescenza?
«Non c’è un percorso unico e lineare che avviene per tutti allo stesso modo e negli stessi tempi. Sono diversi i fattori che concorrono: genetici e ambientali. Vi sono fattori di rischio e di protezione individuali e sociali che possono cambiare “le carte in tavola” orientando in una direzione piuttosto che un’altra. Lo sviluppo psicologico non procede sempre di pari passo con lo sviluppo fisico. Nelle società occidentalizzate c’è sempre un maggiore ritardo dello sviluppo psicologico, mentre in altre zone del mondo si verifica l'opposto.»
Un problema psicologico può emergere più facilmente in un momento topico quale quello dell’adolescenza?
«L’adolescenza è davvero un periodo delicato, le difficoltà psicologiche possono quindi trovare terreno fertile verso condizioni di problematicità. Nell’ottica preventiva è rilevante riconoscere precocemente i fenomeni, ma anche darvi il giusto peso ed evitare interventi non giustificati. Nonostante i dati di letteratura, secondo cui almeno la metà dei disturbi mentali ha esordio intorno ai 14 anni e il 75% entro i 24 anni di età, la popolazione giovanile (12-24 anni) appare molto spesso riluttante nel formulare una richiesta di aiuto per problemi riguardanti la salute mentale, e ciò rende molto difficile garantire il riconoscimento del disagio e la messa in atto di strategie di intervento tempestive ed efficaci. In questa fascia di età, spesso la comparsa di un sintomo o di una difficoltà di funzionamento non è peraltro sufficiente a determinare la ricerca di aiuto.»
Quali sono gli obiettivi della psicoterapia con un adolescente?
«Il percorso terapeutico con gli adolescenti è solitamente strutturato e breve. Nella terapia cognitivo-comportamentale, che è il mio approccio principale, si lavora sul legame tra pensieri, emozioni e comportamenti. L'obiettivo è aiutare i ragazzi a cambiare i loro pensieri, che spesso influenzano le emozioni e i comportamenti negativi. La terapia mira a ridurre il dolore e ad insegnare al ragazzo nuove strategie relazionali e comportamentali più efficaci. Inoltre, si svolgono colloqui informativi e psico-educativi con i genitori o con altre figure di riferimento del ragazzo.»
Siamo in un mondo estremamente competitivo e spietato, gestito a suon di like, follower e visualizzazioni. Crede che i ragazzi dovrebbero avere sempre un supporto psicologico? O magari l’educazione all’autoconoscenza potrebbe diventare materia a scuola?
«In realtà lo psicologo-psicoterapeuta specializzato nell’età evolutiva non è solo lo specialista che si occupa di diagnosi o prese in carico terapeutiche all’interno di contesti ospedalieri o di studi clinici privati: ha un ruolo fondamentale di sensibilizzazione, di psico-educazione, di formazione e quindi di prevenzione delle problematiche individuali e di gruppo.
Giro spesso nelle scuole per parlare con i ragazzi di diverse tematiche di loro interesse (emozioni, dipendenze tecnologiche, problematiche legate all’ansia e all’umore), per sensibilizzarli a una corretta informazione e soprattutto con lo scopo di prevenire problematiche importanti.
Sono dell’idea che più si parla con loro, più si dà voce ai loro punti di vista, alle loro curiosità e meglio è per il loro corretto sviluppo.»
Adolescenti e sessualità: come la psicologia dell’età evolutiva aiuta un adolescente a vivere questa scoperta, insieme magica e angosciante?
«Lo psicologo può essere un punto di riferimento prezioso collaborando con la scuola e altre organizzazioni sociali per parlare apertamente di affettività e sessualità. Questo spazio di ascolto dovrebbe essere libero da tabù e usare strumenti adeguati per discutere in modo costruttivo di questi temi. Durante la crescita, i ragazzi imparano molto dalle persone intorno a loro, come genitori, amici e internet. Spesso, però, non si parla di questi argomenti con professionisti come medici, insegnanti o psicologi, a meno che non ci siano problemi evidenti. Per questo, lo psicologo può svolgere un ruolo importante andando nelle scuole o in altri luoghi educativi, parlando con i ragazzi in modo aperto e offrendo un ambiente in cui possono sentirsi liberi di esprimersi e chiedere aiuto se necessario.»
È più difficile rapportarsi ad un adolescente?
«Per alcuni aspetti sicuramente è più facile rispetto ai bambini più piccoli: basti pensare alle loro competenze linguistiche e cognitive più sviluppate, che consentono un maggior accesso al loro mondo emotivo e cognitivo. Hanno però bisogno di un professionista che sia altrettanto preparato che sappia ascoltare i loro silenzi e le loro parole, di un setting adeguato, di chiarezza, limiti e regole precise, condivise con loro e con i loro caregiver, che conosca il loro “mondo” fatto di interessi e complessità diverse.»